La vita e le avventure di Gengis Khan approdano al cinema, dal 9 maggio, con il film "Mongol" del regista russo Sergei Bodrov (Il prigioniero del Caucaso). Una cavalcata nella Mongolia del XII secolo attraverso distese innevate e foreste sconfinate, tra albe e tramonti in stagioni diverse, sulle tracce di uno dei più grandi conquistatori della storia. Bodrov costruisce un kolossal con migliaia di comparse, un esercito di cavalli e uomini, ma concentra la sua attenzione non tanto sulla battaglia che porterà Temogin (Asano Tadanobu), questo era il suo vero nome, a diventare il khan (capo) di tutti i mongoli, quanto sulla sua giovinezza, sulla storia d'amore con la moglie (scelta a 9 anni) Borte (Khulan Chuluun) e soprattutto sull'umanità di un guerriero che ha introdotto in una civiltà il rispetto delle regole. Temogin vede morire il padre sotto i suoi occhi, avvelenato da una tribù, è allora che giura vendetta.
Sfatato il mito di Gengis Khan malvagio - Un vendetta che tarderà ad arrivare rimandata da continui momenti di fuga, ed è sicuramente questa una delle caratteristiche portanti del film, per certi versi lontano dagli stereotipi del genere epico in cui il protagonista mostra l'esplosiva forza fisica. Qui la forza è mentale, spirituale. Il condottiero condurrà il suo esercito verso una vittoria di spada, ma soprattutto verso la conquista di un nuovo destino per i mongoli. Bodrov punta su questo, sfatando il mito della malvagità del personaggio e soffermandosi sul rapporto con la famiglia e sul rispetto degli esseri umani.
L'amore per Borte - Principalmente si tratta di una grande storia d'amore. "Un bambino di nove anni sceglie la futura sposa e, anche se ancora non lo sa, la sua vita cambierà per sempre - spiega Bodrov - Borte non è stata solo una moglie, è stata una stretta collaboratrice e consigliera: Temugin discuteva con lei di tutte le decisioni più difficili. Il loro era un rapporto moderno, di complicità". L'esistenza dell'uno dipendeva dall'altra.
Il ritorno di Bodrov in Kazakhstan - Dopo l'esperienza con lo spettacolare Nomad del 2004, il regista ritorna a girare per 25 settimane in Kazakhstan, oltre che in Cina e in Mongolia. Terre su cui ha mosso i primi passi il giovane conquistatore tra nomadi che ancora popolano parte della regione. I colori naturali del cielo e delle distese desolate spesso si tingono del sangue (digitale) dei seguaci di colui che diventerà il khan della Grande Steppa e dei suoi nemici, peccato che l'esibizionismo di epoca moderna abbia intaccato l'intimità della pellicola.
Fonte: Tiscali
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